Matteo Francesco Albertone (Alessandria, 29 marzo 1840 – Roma, 13 febbraio 1919) è stato un generale italiano. Generale di divisione del Regio Esercito, prese parte alla battaglia di Adua al comando di una brigata di ascari eritrei; dopo una valida resistenza la sua unità fu distrutta ed egli cadde prigioniero.
Piemontese, come gran parte dei militari sabaudi dell'Ottocento, Matteo Albertone uscì nel 1861 dall'Accademia militare col grado di sottotenente dei Bersaglieri. Nei primi anni partecipò alla campagna contro il brigantaggio nell'Italia meridionale, poi alle battaglie per la presa di Roma del 1866 e del 1870, nella quale finalmente si riuscì a conquistare l'Urbe. Negli anni successivi fu nominato Capitano nel Corpo di Stato Maggiore ed insegnò alla Scuola di Guerra. Nel 1888 ebbe il comando del I Reggimento "Cacciatori d'Africa" del Corpo speciale d’Africa e poi, fino al 1890, il comando del contingente di stanza a Massaua. Nello stesso anno fu rimpatriato in Italia. La guerra in Abissinia Nel 1895, in concomitanza con la ripresa delle ostilità fra le truppe italiane stanziate nella colonia eritrea e gli abissini del Negus Menelik II, Albertone venne rimandato in Africa con il grado di generale di divisione e assunse il comando della Brigata Indigeni, formata dagli àscari, militari per lo più eritrei, che combattevano al fianco degli italiani previo un piccolo compenso. Qualche volta gli ascari dimostrarono infedeltà verso gli ufficiali italiani, tradendo e consegnandosi ai ras abissini, in special modo dopo le sconfitte, ma vi sono innumerevoli casi di ascari che combatterono con fedeltà al fianco dei militari italiani. Albertone succedeva al comando della Brigata Indigeni al generale Giuseppe Arimondi. Nel gennaio del 1895 le truppe italiane, comandate dal generale Oreste Baratieri, si scontrarono con quelle del ras Mangascià e, dopo un aspro combattimento, l'esercito nemico fu decimato dal nutrito cannoneggiamento degli italiani. Nei mesi successivi Baratieri avanzava con decisione nel Tigrè e nell'autunno tutta la regione poteva dirsi occupata. Tuttavia, trascorse poche settimane, fu lo stesso Negus Menelik II a tornare sul piede di guerra denunciando l'indebita occupazione italiana del Tigrè, territorio che il Trattato di Uccialli assegnava all'Etiopia. Menelik II mise insieme una forza immensa per marciare contro la colonna italiana e già nella primavera del 1895 il suo esercito era pronto, ma l'avanzata venne rimandata all'autunno quando sarebbe terminata la stagione delle grandi piogge. Ai primi di dicembre l'esercito abissino, forte di 100 000 uomini si trovava diviso in due tronconi: una a nord del lago Ascianghi al comando del Ras Maconnen (30.000 uomini) e una a sud, al comando dello stesso Negus (70 000 uomini). Le forze italiane, enormemente inferiori, erano anch'esse suddivise in due contingenti: 5.000 uomini erano di stanza ad Adigrat e altrettanti a Macallè. Nel dicembre del 1895 la compagnia del maggiore Pietro Toselli rimase isolata sull'altipiano dell'Amba Alagi, avendo il generale Baratieri impedito ad Arimondi di inviargli soccorso. I pochi superstiti, raccolti dal generale Arimondi, ripiegarono su Adigrat, mentre le truppe abissine assediavano il forte di Macallè, presidiato dal tenente colonnello Giuseppe Galliano.
Negli ultimi giorni di febbraio, per l'esercito italiano le vettovaglie erano talmente ridotte da non poter bastare che per pochi giorni ancora. S'imponeva perciò la necessità di ritirarsi oppure di tentare, con un'avanzata su Adua, di aprirsi la via più breve di rifornimento per i magazzini di Adi Ugri e di Asmara. Baratieri era più favorevole alla ritirata ma, sentito nella sera tra il 28 e 29 febbraio il parere degli altri generali, che all'unanimità propendevano per l'attacco, decise infine di affrontare il nemico coi suoi 15 000 uomini contro gli oltre 120 000 di Menelik II.
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