Gentile Giovanni

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Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944) è stato un filosofo, pedagogista, politico e accademico italiano. Fu insieme a Benedetto Croce uno dei maggiori esponenti del neoidealismo filosofico, un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo, cofondatore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, e artefice, nel 1923, della riforma della pubblica istruzione nota come Riforma Gentile. La sua filosofia è detta attualismo.

Inoltre fu figura di spicco del fascismo italiano. In seguito alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, fu ucciso durante la seconda guerra mondiale da alcuni partigiani comunisti dei GAP. 

Nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l'allontanamento definitivo di Gentile da Benedetto Croce, che gli risponde con un contromanifesto. Nel 1925 promuove la nascita dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista, di cui è presidente fino al 1937.

Per le numerose cariche culturali e politiche, esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico. È il direttore scientifico dell'Enciclopedia Italiana dell'Istituto Treccani dal 1925 al 1938, e vicepresidente di tale istituto dal 1933 al 1938 dove accolse numerosi "collaboratori non fascisti" come il socialista Rodolfo Mondolfo[6]. A Gentile si devono in gran parte il livello culturale e l'ampiezza della visione dell'opera: invitò infatti «a collaborare alla nuova impresa 3.266 studiosi, di diverso orientamento», poiché «nell'opera si doveva coinvolgere tutta la migliore cultura nazionale, compresi molti studiosi ebrei o notoriamente antifascisti, che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento». Egli riesce in tal modo a mantenere una sostanziale autonomia, nella redazione dell'enciclopedia, dalle interferenze del regime fascista.

Nel 1928 diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel 1932 direttore.

E' coinvolto nell'istituzione del Giuramento di fedeltà al fascismo del 1931 che causerà l'allontanamento di alcuni illustri accademici dall'Università italiana.

Nel 1930 diventa vicepresidente dell'Università Bocconi. Nel 1932 diventa Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugura l'Istituto Italiano di Studi Germanici, di cui diviene presidente nel 1934. Nel 1933 inaugura e diviene presidente dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugura a Genova l'Istituto mazziniano. Fu direttore della Nuova Antologia e accolse "collaboratori non fascisti" come il socialista Rodolfo Mondolfo[6]. Nel 1937 diventa regio commissario, nel 1938 presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e nel 1941 è presidente della Domus Galilaeana a Pisa. 

Il 30 marzo 1944 Giovanni Gentile, per il suo appoggio dichiarato alla leva per la difesa della RSI, ricevette diverse missive contenenti minacce di morte. In una in particolare era riportato: "Tu come esponente del neofascismo sei responsabile dell'assassinio dei cinque giovani al mattino del 22 marzo 1944". L'accusa era riferita alla fucilazione di cinque giovani renitenti alla leva rastrellati dai militi della RSI il 14 marzo dello stesso anno (fucilazione orchestrata dal maggiore Mario Carità, che detestava Gentile, ricambiato; il filosofo aveva infatti minacciato di denunciare le eccessive violenze del suo reparto allo stesso Mussolini). Gentile non era assolutamente collegato con tale evento. Il governo fascista repubblicano gli offrì quindi una scorta armata che però Gentile declinò: "Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono sempre disponibile".

Considerato in ambito resistenziale come uno dei principali teorici e responsabili del regime fascista, "apologo della repressione" e di "un regime ostaggio di un esercito occupante", fu ucciso il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua residenza di Firenze, la Villa di Montalto al Salviatino, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP di ispirazione comunista. Il commando gappista composto da Bruno Fanciullacci, Elio Chianesi e Giuseppe Martini "Paolo" - con Antonio Ignesti e la staffetta Liliana Benvenuti Mattei "Angela" come appoggio e con Teresa Mattei e Bruno Sanguinetti nell'organizzazione logistica -  si appostò alle 13,30 circa nei pressi della villa al Salviatino e, appena il filosofo giunse in auto, i due gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per nascondere le armi e farsi così credere studenti. Il filosofo abbassò il vetro per prestare ascolto, ma fu subito raggiunto dai colpi delle rivoltelle. Fuggiti i gappisti in bicicletta, l'autista si diresse all'ospedale Careggi per trasferirvi il filosofo moribondo, ma Gentile in breve spirò.

Fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista e che ancora oggi è al centro di polemiche non sopite, venendo infatti già all'epoca disapprovato dal CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista, che rivendicò l'esecuzione.

Il 18 aprile fu sepolto, per iniziativa del ministro Carlo Alberto Biggini e con decreto di approvazione da parte di Mussolini stesso, nella basilica di Santa Croce a Firenze, il foscoliano tempio dell'itale glorie.


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