Pietro Fanfani (Collesalvetti, 21 aprile 1815 – Firenze, 4 marzo 1879) è stato uno scrittore e filologo italiano.
Ritornato a Pistoia, andò a scuola con scarso profitto. Il padre si rovinò economicamente per via di una grossa mallevadoria pagata per il cognato. A undici anni Pietro entrò in seminario e ottenne buoni risultati nello studio. Nel 1828 fu iscritto alla scuola di retorica del canonico Giusette Silvestri, latinista ed appassionato della Divina Commedia. Il padre, non potendo permettersi di mandarlo all'università, gli fece frequentare la scuola medico-chirurgica di Pistoia, dove conobbe Filippo Pacini, futuro anatomista. Il Fanfani pensò soprattutto a divertirsi con i suoi compagni di corso: gli spedalini, ma fu costretto dal padre ad arruolarsi e fece diciotto mesi di servizio militare. Nel 1837, morto il padre, ritornò a casa.
Nel 1842, dopo anni di vita sregolata, decise di dedicarsi interamente agli studi. Grazie al priore Andrea Fabbri divenne un paleografo latino. Studiò il greco. Per mantenersi copiò cronache e antichi documenti su commissione di Enrico Bindi, allora docente di retorica in seminario. Nel 1843 iniziò a scrivere per giornali e riviste. Pubblicò Osservazioni sulla Divina Commedia sul periodico Memorie di Letteratura e scritti di critica letteraria pungenti e alcuni Ritratti morali su la Rivista di Firenze. Nel 1847 stampò il periodico Ricordi Filologici, su cui scrissero Luigi Fornaciari, Giuseppe Giusti, Basilio Puoti, Niccolò Tommaseo. Il periodico, stampato a Pistoia dalla Tipografia Cino, usciva ogni quindici giorni e aveva 16 pagine.
Nel 1847 scrisse una falsa cronaca trecentesca, Relazione del viaggio di Arrigo VII in Italia, di Niccolò vescovo di Butrintò, volgarizzata da ser Bonacosa di ser Bonavita da Pistoia, pubblicata nell'Archivio storico italiano di Pietro Vieusseux, che fu molto apprezzata, tanto da essere citata anche dal Tommaseo. «La mia traduzione fu accettata per antica: piacque a' compilatori de l'Archivio, tutta gente del mestiere: Carlo Milanesi,... il Bonaini,..., ed il Parenti..». Il Capponi ne scrisse: «...aurea scrittura del 300 offerta al Vieusseux, che la pubblicò nell'Archivio Storico, e da lui e da altri creduta, e come tale levata a cielo, tanta era la penna del Fanfani nelle cose di lingua». Fu il Fanfani stesso a confessare l'inganno e, per giustificarsi, affermò che anche il Leopardi aveva tentato, senza riuscirci, di fare lo stesso, ma le polemiche divamparono, tanto che fu accusato di «...aver messo in mezzo Vieusseux e il Bonaini». Il Fanfani scrisse poi: «...quello che per il Leopardi era titolo di somma lode....il mio, riuscito così splendidamente, si chiamava poco men che una truffa» ed aggiunse «Va notato che io non mi feci pagare dal Vieusseux.»
Nel 1848 andò in Lombardia con i volontari toscani contro l'Austria. Sergente maggiore della 4ª compagnia del secondo battaglione, combatté a Montanara il 29 maggio e fu fatto prigioniero. Fu condotto a Mantova e da lì, a marce forzate, a Theresienstadt, in Boemia, dove fu liberato a settembre dopo l'armistizio di Salasco. Rifiutò l'incarico d'insegnante a Torino, offertogli da Vincenzo Gioberti, per diventare "commesso di prima classe" di Francesco Franchini, ministro della Pubblica Istruzione nel Ministero Guerrazzi. Incarico in cui fu mantenuto anche al ritorno del governo granducale, «...ma mi conservò nell'ufficio,... ….; ma sempre mi guardò con sospetto, e sempre mi tenne basso.». Si sposò con Zaira Capecchi, che morì pochi mesi dopo.
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