Francesco Del Furia (1777-1856).
Terminati gli studi elementari, nel 1788 A. M. Bandini, bibliotecario della Laurenziana di Firenze, che lo aveva conosciuto a Pratovecchio dove si trovava a villeggiare, lo condusse a Firenze per aiutarlo a continuare gli studi nei quali già eccelleva e, in seguito, lo raccomandò a monsignor A. Franceschi, arcivescovo di Pisa, che lo sistemò nel seminario di S. Caterina a spese del granduca Ferdinando III.
A Firenze il Del Furia rimase dal 1792 al 1798, esercitandosi nello studio delle lettere classiche e semitiche sotto la guida dell'abate G. Fantoni; qui dette i primi saggi della sua perizia nelle lingue antiche, traducendo in latino l'orazione di Procopio Gazzeo in onore dell'imperatore Anastasio, e nel dicembre 1797 augurò il buon anno al Bandini con un'ode anacreontica sopra la pace (stampata con varianti nel 1814, per il ritorno in Toscana di Ferdinando III, insieme con altre poesie greco-latine: Bello exstincto pacibus perfectis Ferdinando III..., Firenze 1814). Il 6 sett. 1798 passò nel convento di S. Pancrazio di Firenze, dove sotto la direzione del padre Romualdo Maria Tacci si dedicò allo studio delle lingue arabica e siriaca.
Le intenzioni del Bandini nei confronti del suo pupillo si leggono nel testamento: egli voleva che il D. fosse "provvisto di un posto di lingue orientali, ascritto al ruolo de' professori di Pisa per risedére come altri fanno in Firenze alla custodia della celebre raccolta di codici orientali adunati dagli eroi medicei, e che dal reale palazzo di Pietro Leopoldo I furon fatti passare alla Laurenziana". L'intenzione si realizzò presto: proprio quando la fortuna sembrava averlo abbandonato per la partenza dalla Toscana del suo protettore Ferdinando III e del cambiamento del quadro politico, nel 1801 il Del Furia assunse in Marucelliana l'incarico di vicebibliotecario rimasto vacante, e nell'estate del 1802 si sostituì al can. Francesco Pasquale Buoni e nelle funzioni di vicebibliotecario della Laurenziana (che il Buoni aveva dal 1797) e nell'insegnamento della lingua greca presso lo Studio fiorentino. Fino a che, con la morte del Bandini esattamente un anno dopo, il D. fu eletto a sovrintendere entrambe le biblioteche.
Il Bandini lasciò dunque al suo protetto, oltre a un'annua pensione, l'importante eredità di queste due biblioteche fiorentine, che il Del Furia continuò a reggere per tutta la vita: e per lui il Del Furia scrisse il necrologio.
Bibliotecario, lettore di lingua greca, e dal 1812 accademico della Crusca: la sua vita, i suoi interessi, i suoi studi ruotano tutti intorno a queste tre attività nelle quali fu infaticabile e sempre molto assiduo.
Come bibliotecario, ebbe presto un compito notevole: nel 1808, unita la Toscana all'Impero francese, e quindi aboliti in Toscana come altrove i conventi, il Del Furia fu incaricato dalla giunta imperiale, insieme con altri collaboratori, di esaminare il materiale per formare una "nota delle cose più belle da conservarsi". Tra i manoscritti, passati poi alla Biblioteca Laurenziana, ce n'era uno, presto casus belli di una incresciosissima vicenda, meglio nota come la "questione della macchia". In questo codice il Del Furia trovò un Esopo, che pubblicò quasi subito. Un altro filologo francese, Paul-Louis Courier, che esaminò il manoscritto quando ancora si trovava alla badia fiesolana, vi aveva trovato un inedito sconosciuto di Longo Sofista, che in seguito sottopose al D. perché, insieme con Gaspero Bencini lo aiutasse nella trascrizione, poi pubblicata dallo stesso Courier. Il codice, proprio alle carte contenenti l'inedito, fu deturpato da una macchia d'inchiostro mentre veniva consultato dallo studioso francese: il Del Furia accusò il Courier di avere deteriorato il prezioso codice con intenzione, affinché nessun altro potesse adoperarlo, e nel 1810 pubblicò una lettera al sig. Domenico Valeriani: Della scoperta e subitanea perdita d'una parte inedita del libro I de' Pastorali di Longo, nella Collezione d'opuscoli scientifici e letterari (X, Firenze 1809, pp. 49-70), da lui fondata nel 1807 e che continuò fino al 1819.
Insegnava lingua e letteratura greca presso lo Studio fiorentino e, come era allora abitudine, si riuniva con altri colleghi nella libreria Magliabechiana per tenervi letture e dotte dissertazioni. Proprio in questa biblioteca, ora Nazionale centrale, sono conservati i suoi manoscritti e il suo carteggio (84 manoscritti quasi tutti di argomento filologico, classico, orientale, e volgare; quasi 2.000 lettere a lui indirizzate): li offrì al granduca la seconda moglie Teresa, ricevendo in cambio un dono di 150 zecchini, nel 1858.
Il Del Furia morì il 19 ott. 1856 a Firenze, lasciando diversi figlioli, dei quali Pietro, sacerdote, proseguì la carriera paterna al servizio della Biblioteca Laurenziana.
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